La “rivoluzione” del cielo aristotelico è operata in modo grandioso da Galileo Galileo, non solo attraverso le sue inequivocabili scoperte, ma soprattutto grazie alla consapevolezza che aveva di ciò che “vedeva”.
L’idea della perfezione del cielo antico, cozzava apertamente con l’apparente imperfezione di una sfera celeste, dove le stelle, pur se disposte tutte alla stessa distanza dalla Terra, circa la loro luminosità non seguono nessun reale ordine.
Nel tentativo di spiegare la “possibilità” di un cielo “imperfetto” come quello che osservava non solo attraverso il suo perspicillum ma anche già all’occhio naturale, ecco, a mio avviso, uno dei più sorprendenti testi tratto dalla corrispondenza galileiana:
“Altrettanto grande quanto frequente mi pare l`errore di molti, i quali vogliono fare il loro sapere et intendere misura dell`intendere et sapere di Dio, sì che solo perfetto sia quello che loro intendono esser perfetto. Ma io, per l`apposito osservo, altre perfezioni essere intese dalla natura che noi intendere non possiamo, anzi, pure che più presto per imperfezioni giudicheremmo […]. Uno de i nostri più celebri architetti, se havesse hauto a compartire nella gran volta del cielo la moltitudine di tante stelle fisse, credo io che distribuitele haverebbe con bei partimenti di quadrati, esagoni et ottangoli,
interzando le maggiori tra le mezzane et le piccole, con sue intese corrispondenze, parendogli in questo modo di valersi di belle proporzioni; ma all`incontro Iddio, quasi che con la mano del caso le habbia disseminate, pare a noi che senza regola, simmetria o eleganza alcuna le habbia sparpagliate”.
“Et così a punto, quando noi fanciullescamente havessimo hauto a formare la luna, galantissima ci saria parso di figurarla dandogli una rotondissima et pulitissima superficie; ma non già così ha inteso di far la natura, anzi tra quelle diversissime scabrosità è credibile che ella mille misterii, da lei sola intesi, habbia rinchiusi.”
GALILEO a [GALLANZONE GALLANZONI in Roma]
Firenze, 16 Luglio 1611.